Cos’è l’obsolescenza programmata
“Non li fanno più come una volta”, si sente spesso dire. È opinione diffusa che alcuni gadget, automobili e tecnologie a nostra disposizione nella vita di tutti i giorni abbiano una durata di vita volutamente breve, per farci spendere nuovamente per un modello più efficiente.
Esiste veramente una cosiddetta “durata programmata” o si tratta di una teoria della cospirazione?
Cosa si intende per obsolescenza programmata?
L’obsolescenza programmata esiste, ma non in senso esclusivamente negativo. In economia e design industriale, l’obsolescenza pianificata è una politica di pianificazione o progettazione di un prodotto con una vita utile artificialmente limitata o un design volutamente fragile, in modo che diventi obsoleto (cioè, fuori moda, o non più funzionante) dopo un certo periodo di tempo.
L’obsolescenza può essere ottenuta introducendo un modello sostitutivo superiore o progettando intenzionalmente un prodotto in modo che cessi di funzionare correttamente entro una finestra specifica. In entrambi i casi, questa mossa proattiva garantisce che i consumatori acquistino nuovi prodotti in futuro, rafforzando così la domanda.
Quando si comincia a parlare di obsolescenza programmata?
Il concetto di obsolescenza programmata nasce negli anni ’20 con il cosiddetto “Cartello di Phoebus”, un’associazione istituita per il controllo della produzione e della vendita di lampadine composta dai principali produttori di tutto il mondo come la tedesca Osram, la Associated Electrical Industries del Regno Unito e la General Electric negli Stati Uniti.
La riduzione della durata delle lampadine, che fu portata a 1.000 ore, fu una delle decisioni strategiche adottate dal Cartello Phoebus per mantenere una posizione di assoluto predominio nel mercato internazionale. Le pratiche messe in atto dal cartello furono al centro di un processo civile, iniziato negli Stati Uniti nel 1942 e concluso nel 1953.
Nel 1949, la Corte Distrettuale del New Jersey ritenne la General Electric responsabile di violazione della normativa antitrust USA (Sherman Act) congiuntamente ad altre aziende del cartello. Questo cartello è l’esempio più ovvio delle origini dell’obsolescenza pianificata.
Esempi di obsolescenza programmata
Dalla cosiddetta durata artificiosa, in cui le parti fragili iniziano a cedere, alle riparazioni che costano più dei prodotti sostitutivi fino agli aggiornamenti estetici e di design: i produttori di beni di consumo non mancano di stratagemmi per incentivare la sostituzione di prodotti obsoleti.
Per un esempio a portata di mano, considera gli smartphone. Questi telefoni spesso vengono vengono rimpiazzati dopo solo un paio di anni di utilizzo. Schermate o pulsanti si rompono, batterie che si esauriscono, sistemi operativi che rallentano, app che non possono più essere aggiornate. Eppure una soluzione è sempre a portata di mano: nuovi modelli di microtelefoni pubblicizzati come “i migliori in assoluto”.
Un altro esempio di obsolescenza pianificata riguarda le cartucce per stampanti. Microchip, sensori o batterie possono disabilitare una cartuccia ben prima che tutto il suo inchiostro sia effettivamente esaurito, costringendo i proprietari ad acquistare unità completamente nuove e per niente economiche.
In questo modo, l’obsolescenza programmata sembra uno spreco, soprattutto se si considera che questi scarti non sempre vengono correttamente riciclati e finiscono per inquinare l’ambiente.
I lati positivi
Sebbene alcuni di questi esempi di obsolescenza pianificata siano eclatanti, è eccessivamente semplicistico condannare la pratica come sbagliata. Su scala macroeconomica, il rapido turnover delle merci alimenta la crescita e crea una marea di posti di lavoro: basti pensare ai soldi che le persone guadagnano producendo e vendendo, ad esempio, milioni di custodie per smartphone. Inoltre, la continua introduzione di nuove tecnologie tenderà a promuovere l’innovazione e migliorare la qualità dei prodotti.
Come risultato di questo circolo vizioso ma virtuoso, molti beni un tempo considerati inaccessibili (come ad esempio i cellulari), sono diventati alla portata di tutti nei ricchi Paesi occidentali, nell’Estremo Oriente e sempre più nel mondo sviluppato. Molti di noi si abbandonano a comodità inimmaginabili un secolo fa.
L’obsolescenza pianificata non è un vero e proprio sfruttamento, poiché avvantaggia sia il consumatore che il produttore. L’innovazione implacabile e la concorrenza per una quota di mercato portano allo sviluppo continuo delle tecnologie alla base degli smartphone, con processori più veloci, fotocamere migliori e così via.
Con le recensioni su Internet, è più facile che mai scoprire se l’acquisto previsto ha una durata breve, e questo vale sia per le lampadine che per gli smartphone.
E, poiché la consapevolezza ambientale della terribile quantità di rifiuti generati dalla cultura dello scarto è aumentata, i beni di consumo potrebbero diventare meno usa e getta. Il progetto Ara di Google, ad esempio, sta sviluppando un dispositivo simile a uno smartphone con sei slot per sostituire i componenti tecnologicamente obsoleti.
C’è da ritenere che l’obsolescenza programmata sarà sempre più orientata al riutilizzo intelligente, adottando soluzioni già sperimentate da Google e Tesla: invece di vendere un modello dopo l’altro, Tesla ha semplicemente cambiato il software. E’ questo un antidoto all’obsolescenza pianificata in un certo senso: rende l’obsolescenza obsoleta.